Madagascar, tutta un’altra Africa!

Attraverso strade dissestate e piste polverose, il viaggio scorre intenso e per certi aspetti, coinvolgente.
Gente… Gente… Tanta gente!
Bambini come conigli, numerosi abbandonati a loro stessi… Ovunque.
Solo i piccolissimi godono del benefico contatto con la mamma o, anche se più raramente, col papà.
Case che mettono in luce tutta la semplicità e, purtroppo, molto spesso, la miseria del Madagascar.
Se nelle campagne la gente ha un minimo di sussistenza legata alla terra e agli zebù, i pescatori si affidano quasi totalmente al mare. I loro villaggi sono l’emblema della povertà ed evidenziano le difficoltà di una vita di stenti e grandi fatiche. Le imbarcazioni non temono l’oceano, ma le case in legno sembrano fragili.
Insieme ad esse, la natura stessa appare fragile e indifesa contro fame e miseria.
Pezzi di foresta e aree protette vanno in fumo per la bramosa e disperata ricerca di un terreno che possa dare un minimo di sostentamento. Nemmeno le multe e la prigione spaventano chi non ha nulla da perdere!

Tuttavia, la flora e la fauna del Madagascar lottano per sopravvivere all’estinzione perché uniche e particolari.
Così come le abitazioni, anche le strade e le piste sono in condizioni piuttosto precarie nonostante la stagione delle piogge sia finita da mesi. Il percorrerle mette a dura prova tutti, autisti esperti e passeggeri.
Le distanze sono considerevoli, ma ciò che rende difficoltoso e lungo il percorso è proprio il fondo, sia in asfalto che in terra battuta.
Proprio per questo, a volte pensi di potertela cavare in 4-5 ore di viaggio e invece… il tempo percorso sulle Jeep 4×4 spesso raddoppia!
Più semplice e rilassante è, senza dubbio, la navigazione di 72 ore sul fiume Tsibirihina.
Durante il tragitto si pernotta lungo le rive nelle tende trasportate con noi sulla barca, ma piuttosto comodamente, si può osservare la vita nei villaggi che sorgono lungo le sue sponde, tra bananeti e risaie.

Un finale, che mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca, è stato quello riservato ad una popolazione che prima abitava all’interno della foresta e che viveva di sussistenza come gli uomini primitivi, senza quindi dare fuoco al bosco o danneggiare la natura attorno a sé.
Paradossalmente, infatti, questo popolo è stato fatto uscire dalla foresta, in quanto dichiarata protetta, con diritto comunque di continuare ad usufruire di quanto essa ha da offrire.
Questo, a mio parere, ha contaminato un po’ le tradizioni e la spontaneità di questo popolo perché, ad oggi, venendo a contatto con noi turisti, manipola denaro e beni di consumo tipici della nostra società.
Non solo. L’insegnante del villaggio, che ha sposato uno di loro, non è della stessa etnia. Essendo l’unica, per ora, questo popolo dovrebbe mantenere la propria identità, per lo meno  nella maggioranza dei suoi componenti…
È stato comunque molto interessante, non posso negarlo, venire a contatto con loro e mi vede sempre più convinta sul fatto che si possa comunicare con chiunque, superando qualsiasi barriera culturale e linguistica. L’importante è il rispetto e il saper accettare canoni e regole diverse dalle nostre, che ci possano sembrare o meno restrittive.

Se comunque dovessi fare un bilancio di questo impegnativo viaggio, del quale trovate l’itinerario sempre qui sul nostro sito, posso dire che mi abbia lasciata soddisfatta.
Non so perché, ma inizialmente lo avevo considerato un viaggio banale, per così dire, nonostante non fosse il solito itinerario Nosy Be e dintorni.
Forse perché, a differenza di altri viaggi, me lo aspettavo più “scontato” sotto certi aspetti sia paesaggistici che faunistici e non avevo considerato appieno l’aspetto culturale di quest’Isola come l’insieme di tante tribù differenti, ciascuna con usanze e tradizioni proprie.
Diciamo che è un’ Africa diversa, effettivamente staccata dall’Africa, che regala emozioni diverse, a volte molto contrastanti tra loro, ma mai banali.
Spesso ciò che si osserva, anche qui, dà origine a spunti e riflessioni sia durante che dopo il viaggio.
Una su tutte: “Che ne sarà del Madagascar?”
Povertà, popolazione in continuo aumento, mancanza di aree coltivabili per tutti, porteranno ad un tragico epilogo? Che ne sarà delle sue aree verdi,  dei mitici baobab, della fauna particolare, delle risorse idriche e di quanto offrono ai pescatori l’oceano e i fiumi?

A chi abbia energia, spirito di avventura e di adattamento, apertura mentale, salute e tanta pazienza consiglio vivamente questo viaggio.
A chi mancasse anche solo di una di queste componenti, dico invece di cercare altro perché non riuscirebbe ad apprezzarlo appieno.

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