Tibet…quasi un paradosso

Nonostante tutte le paure (mal di montagna, caviglia infortunata, meteo), del Viaggio in Tibet svoltosi durante l’estate del 2015, restano i ricordi di atmosfere davvero uniche, il fatto che me le sia godute grazie alla caviglia che ne ha tratto giovamento, grazie al mio organismo che non mi ha fatto sentire ne fuso orario (ma quello non l’ho mai sofferto), ne l’altitudine, grazie al meteo che ci ha favoriti davvero.

Uno dei laghi sacri del Tibet: il Lago Yamdrok
Uno dei laghi sacri del Tibet: il Lago Yamdrok

Rimane un po’ di amaro in bocca nell’aver constatato che molti Monaci usano whatsapp nei templi e, durante le preghiere, rispondono o fanno telefonate con l’I-phone (durante le cerimonie si fanno pure i selfie), manipolano denaro a tutto spiano e lo utilizzano anche per andare a pranzo al ristorante (nelle altre Nazioni a maggioranza buddista visitate non toccavano il denaro, non facevano telefonate o altro nel tempio, mangiavano grazie ai fedeli che portavano loro il cibo).

Monaci "tecnologici" in un Tempio
Monaci “tecnologici” in un Tempio

Tutto questo però passa in secondo piano grazie ai pellegrini che si coricano per pregare, anche quando molto anziani, che cantano per ore, che fanno offerte e preghiere davanti ad ogni immagine sacra, che mettono in pubblico, lungo i kora, nelle piazze, nelle città, intorno a templi e monasteri, tutta la loro fede, la loro devozione. Allora ti senti parte di tanta spiritualità, respiri l’incenso e il burro di dri (la femmina dello yak), ritrovi la genuinità delle persone vere, rifletti sulle cose che contano nella vita: la natura, i sorrisi, la gente…

Pellegrini lanciano sciarpe bianco per la benedizione
Pellegrini lanciano sciarpe bianco per la benedizione

Qualche informazione per chi desidera andare in Tibet:
– Dall’Italia, diverse compagnie aeree collegano direttamente o con qualche scalo, la nostra Nazione con la Cina.
– Bisogna avere il passaporto con almeno 6 mesi di validità residua e chiedere il visto cinese inviando il Passaporto e una fototessera all’ambasciata o chi per essa.
– Non bisogna dichiarare esplicitamente che la tappa finale è il Tibet, ma, arrivati in Cina, si dovranno completare le ulteriori operazioni per ottenere il permesso di ingresso e potersi imbarcare su un volo da Pechino diretto o via Chengdu.
– Le guide parlano inglese, l’altitudine non è da sottovalutare (di solito si atterra già a 3500 m, ma si ha la possibilità di ambientarsi con calma) ed è richiesto un certo spirito di adattamento per la condizione delle strade ed il livello degli hotel.
– Meglio rivolgersi ad un tour – operator specializzato e conosciuto per organizzare il viaggio onde vedersi negare, ormai in Cina, il permesso di entrata al Tibet o incorrere in altre eventuali spiacevoli inconvenienti.
– Il permesso per entrare il Tibet è di due (o forse più) tipi: uno per Lhasa e dintorni, un altro serve per fare un giro come il nostro, che si allontana parecchio da essa. Non vengono rilasciati a singoli viaggiatori e, per ottenerli, bisogna essere almeno in cinque, esclusa la guida (ne viene dato uno per tutto il gruppo). Anche ai banchi di accettazione, in aeroporto, ci si deve presentare tutti insieme per essere contati e riconosciuti.
– Una volta in Tibet, potete essere fermati dalla polizia per un controllo del permesso e, usciti da Lhasa, dovete presentarlo ai controlli che si trovano lungo le strade principali, verso le altre province.
Vi verrà poi nuovamente richiesto alla partenza dalla Regione Tibetana.

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