Ma come stanno gli “Ottomila”? La mia breve intervista sulle spedizioni in partenza e in arrivo dal K2

A Skardu, in Pakistan, ho avuto la possibilità di vedere il Museo dedicato agli Italiani che, per primi, hanno raggiunto la vetta del K2 (8611 metri) ed arrivare fino al rifugio dove si organizzano le spedizioni (anche ad altre montagne). Qui ho potuto vedere il trambusto che si crea quando si parte e/o si arriva: i portatori, al ritorno, sono euforici perché, dopo giorni, possono andare finalmente ai loro villaggi a riposare e l’atmosfera è piuttosto caotica. Il vociare è notevole ed i toni non sono certo bassi. Sembra di essere ad una fiera.

Uno dei Capi Spedizione mi spiega un bel po’ di cose. Per fortuna parla molto bene l’inglese e quindi, ad oggi, posso darvi un’idea di come gira il business del trekking alpinistico in queste zone.

Ecco dai miei appunti…

Io – Come si arriva al K2 e come funzionano oggi le spedizioni verso questo maestoso e bellissimo 8000?

C.S – Per arrivare al Campo Base del K2 si deve percorrere un duro trekking della durata di 7 giorni, con l’attraversamento del Ghiacciaio del Baltoro. Ogni membro ha a propria disposizione ben 5 portatori perché il materiale è davvero tanto.

Io – Quanti dopo un simile percorso, alla fine, decidono di tentare la salita?

C.S. – Mentre il trekking lo può fare chi è ben allentato e non ha problemi di salute e / o fisici, per salire sul K2  questo non basta. Bisogna acclimatarsi, avere un permesso (a pagamento), i portatori e le guide giuste, tempo, pazienza ed energia. Generalmente si avventurano sul K2 alpinisti che hanno già avuto esperienze ad 8000 metri e comunque non tutti ce la fanno a tornare vivi.

Io – Come vede il futuro delle spedizioni sul K2 e, più in generale, sugli 8000?

C.S. – Purtroppo, dalle prime spedizioni ad oggi, molte cose sono cambiate. Non mi riferisco solo al clima, al ghiaccio, alla neve, ma alla spazzatura che gli alpinisti abbandonano, alle feci, ai corpi di chi non ce la fa, fino alle bombole di ossigeno esaurite, interi campi tendati, e molto altro. Altra componente negativa è la troppa sicurezza che li spinge oltre i propri limiti con le conseguenze che tutti conosciamo.

Io – Certo questo tipo di turismo ha dato e dà lavoro, ma non porta benefici alla montagna…

C.S. – Speriamo migliori la qualità delle spedizioni, anche di quelle che arrivano semplicemente ai campi base delle nostre vette. Quando ero giovane io, c’era più rispetto da parte di tutti, locali e alpinisti, i mezzi a disposizione e le attrezzature non erano certo quelli di oggi. Questo faceva sì che la montagna fosse “adeguatamente” temuta e mai, in alcun modo, sottovalutata!  

Naturalmente anche io rinnovo questo augurio alle Sacre Vette e, la mia speranza, è che si arrivi alla linea dura verso chi inquina le montagne: K2, Nanga Parbat, Everest… ecc… non sono discariche!

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