Diego e Frida: l’essenza della messicanità

Chi fossero Frida Kahlo e Diego Rivera sinceramente l’ho ignorato per molto tempo. Poi, tra il 2014 e il 2015, al Palazzo Ducale di Genova, la mia città, è stata organizzata una mostra che ha avuto un successo strepitoso, incentrata soprattutto su Frida. Ad essere sincera più che i suoi quadri, mi ha appassionato la sua biografia e, nel nostro viaggio in Messico, ho voluto approfondirne la conoscenza. Ho scoperto che se il marito e, già all’epoca, celebre pittore, Diego Rivera è ancora oggi conosciuto e stimato per i suoi Murales che raccontano la storia del Messico, Frida Kahlo è, ancora oggi, amata per aver incarnato l’essenza vera della donna messicana. Le donne  continuano a vedersi in lei, ad imitarla nel vestire e vorrebbero essere lei. Lo si capisce da come te ne parlano, da come visitano e fotografano ogni angolo della sua casa a Città del Messico, quasi fosse il tempio di una dea da venerare e, ancor più, lo si comprende quando si chiede una definizione alternativa alla “messicanità”. Ti rispondono “Frida”. Ma perché proprio lei? Cosa ha fatto di così straordinario per meritarsi l’ammirazione di tante connazionali?Vediamo di conoscerla meglio partendo dalle notizie raccolte, anche in loco, sul suo personaggio.

La Casa Azul di Frida e Diego a Città del Messico.
La Casa Azul di Frida e Diego a Città del Messico.

Per l’intera vita porterà con sé un dolore continuo e lacerante,ma nonostante le trentadue operazioni, Frida Kahlo inneggerà alla vita con quella allegria che ha sempre ostentato in pubblico per nascondere invece la tristezza, il dolore, l’angoscia e la sofferenza che manifesterà sempre e comunque nei suoi quadri: un misto di dolore ma anche di forza, quella sola forza capace di reagire anche a situazioni che non hanno rimedio, in questo caso l’immobilità.

Proprio in questa immobilità forzata e duratura Frida troverà nella pittura il tramite, lo strumento per esprimere tutta se stessa con quel suo linguaggio particolare, di uno stile arcaico e nel contempo moderno. Era nata nel 1907 da padre ebreo di origine ungherese: era un giovane immigrato in Messico, sofferente di crisi epilettiche, fotografo di successo preciso e meticoloso nell’eseguire con cura luci ed ombre. Da suo padre forse prende quella precisione nel descrivere minuziosamente ogni particolare usando anche minuscoli pennelli di zibellino: tranne che per pochissimi quadri, Frida prediligerà il formato minore (30x37cm), più intimo, più suo, più adatto a raccontare quello che provava, come vedeva e percepiva il mondo, il fuori, l’altro.

Un particolare del giardino interno
Un particolare del giardino interno

Da piccola era un monello e anche se a sei anni si ammala di poliomielite e dovrà stare per nove mesi in camera, dopo la malattia fece di tutto – dalla boxe, al calcio, alla lotta libera al nuoto – per poter ristabilire l’uso della gamba destra che rimase invece sempre piccola: per nascondere indossava anche tre o quattro calze e scarpe dal tacco speciale che le lasciarono quel modo di camminare lievemente saltellante tipico dei passerotti. Con il padre si recava spesso in giro a passeggiare nei parchi, era la prediletta delle sei figlie forse perché l’unica che sapesse come lui cosa significasse la malattia e l’isolamento.Mentre lui dipingeva, lei raccoglieva insetti e piante che poi a casa guardava al microscopio; imparò anche a usare la macchina fotografica, a studiare l’arte e l’archeologia messicana che ritroveremo sempre come parte integrante della sua inconfondibile arte. Dopo la sua nascita la madre si ammalò e lei, come si usava una volta, fu allattata da una balia: quando dipinse il quadro “La mia balia ed io” (1937, 30,5x 35 cm, uno dei sette quadri presenti in mostra alla Galleria Bevilacqua La Masa di Venezia dal 9 giugno all’8 ottobre 2001), si dipinse piccola nel corpo ma con la testa da adulta, la bocca semiaperta, lo sguardo fisso mentre le viene donato quel latte-sangue messicano che sgorga da un seno sezionato e dall’altro gocciolante come lo è il cielo che fa da sfondo a una foresta tropicale: latte dato da una donna il cui volto assomiglia ad una maschera tribale, un misto di mistero e morte, primitivo e folkloristico come fa notare Hayden Herrera nel suo libro Frida Vita di Frida Kahlo (ed. La Tartaruga) Frida dà l’impressione di essere simultaneamente protetta dalla balia e offerta come vittima sacrificale.

Frida Kahlo fece propria l’arte messicana, quella indigena, delle masse a cui legò anche l’impegno politico (fu membro della Lega giovanile comunista) sfociato in solidarietà e accoglienza a Lev Trockij quando arrivò in Messico nel 1937. Organizzò addirittura la partenza per il Messico di quattrocento lealisti spagnoli durante il suo soggiorno parigino: il suo impegno terminò dieci giorni prima di morire quando lei quasi inferma, in sedia a rotelle, partecipò alla manifestazione contro la destituzione da parte della CIA del presidente guatemalteco Jacobo Arbenz Guzmàn.

Il laboratorio di Frida
Il laboratorio di Frida

Fu fotografata dai più famosi e importanti fotografi e quasi sempre sceglie il suo costume prediletto quello delle donne di Tehuantepec, famose oltre che per la loro bellezza e fascino anche per il fatto di essere donne coraggiose, forti e intelligenti. In tutte le foto si vede una Frida dallo sguardo diretto e penetrante, ironico e sensuale, interrogativo e ammiccante che poi ritroveremo sempre nei suoi autoritratti dove si dipinge con caratteristiche ed estrose acconciature e riccamente ingioiellata.

Nel ’28 conobbe Diego Rivera: lui aveva quarant’anni ed era un artista molto famoso, lei venti di meno. Sapeva che lui era un noto seduttore e il loro primo incontro fu molto particolare. Anche se brutto, grande e grasso (alto un metro e ottanta, nel ’31 pesava centocinquanta chili) Rivera conquista moltissime donne e Frida (che era alta un metro e sessanta e pesava quarantanove chili) si separerà da lui solo quando lo seppe amante anche di sua sorella Cristina (alle altre donne si sentì sempre superiore, ma quando si risposerà Rivera una seconda volta nel ’40, pose delle ferree condizioni).

La cucina di Frida
La cucina di Frida

Rivera aveva qualcosa di magnetico oltre alla grande personalità e vitalità: era spiritoso, molto disponibile, considerato da tutti un genio, apprezzava le donne dicendo che erano superiori agli uomini perché più sensibili, più belle, più buone. Lei andò a trovarlo mentre dipingeva un affresco, riuscì a farlo scendere dall’impalcatura per mostrargli i suoi quadri e chiederne un parere. Cosa che lui fece prontamente concludendo con un “Hai talento” e da quel giorno praticamente non si lasciarono mai se non nel breve periodo della loro separazione (1935-36). Fu un amore coinvolgente e travolgente fatto di contrasti e affinità elettive. Ebbero una vita tempestosa ma ricca emotivamente e artisticamente, non riuscendo a stare lontano per molto: tutti e due reciprocamente avevano un disperato bisogno dell’altro. Le furono attribuiti molti amanti etero e omo, ma lei non se ne curò libera come la sua arte dove non si riconobbe né surrealista né realista come la definiva lo stasso digo Rivera: quel che è certo è che fu unica nella sua arte e anche Picasso in una lettera a Rivera disse così:      

« Né Derain, né tu, né io siamo capaci di dipingere una testa come quelle di Frida Kahlo». E, se lo diceva Picasso … 

Uno dei Murales di Diego Rivera presso il Palazzo Nazionale di Città del Messico
Uno dei Murales di Diego Rivera presso il Palazzo Nazionale di Città del Messico

A questo punto vorrei concludere con le parole di Diego:

“… E’ la prima volta nella storia dell’arte che una donna esprime con totale sincerità, scarnificata e, potremmo dire, tranquillamente feroce, i fatti e particolari che riguardano esclusivamente la donna. La sua sincerità, che si potrebbe definire insieme molto tenera e crudele, la portò a dare di certi fatti la testimonianza più indiscutibile e sicura; é perciò che dipinse la sua stessa nascita, il suo allattamento, la sua crescita dentro la sua famiglia e le sue terribili sofferenze, e di ogni cosa senza permettersi mai la minima esagerazione né divergenza dai fatti precisi, mantenendosi realista e profonda, come lo é sempre il popolo messicano nella sua arte, compresi i casi in cui generalizza fatti e sentimenti, arrivando alla loro espressione cosmogonica …”

Diego Rivera

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